BRIGANTI A PIANA DI MONTE VERNA.
di Angela d'Agostino
A Piana di Monte Verna, precisamente in loc. Fontana in cima, c’era la grotta dei Briganti , nella quale, hanno raccontato alcuni anziani, erano fino a pochi anni fa ben visibili scritte ed epigrafi. Vi è fondato motivo di credere, anche se mai potuto dimostrare, a causa di smottamenti del terreno ed intemperie, che detti Briganti, proprio in quella zona, avessero seppellito un vero e proprio tesoro, frutto di razzie e vere e proprie estorsioni.Una brigantessa, dagli occhi grandi e nerissimi, dal volto triste, sembra abbia combattuto a Caiazzo e Piana di Monte verna. Si tratta di Maria Capitanio, giovane guerrigliera compagna del capobanda Luongo. Morto il suo uomo a seguito di gravi ferite subite in uno scontro a fuoco con i carabinieri, prese il comando della formazione ribelle giurandogli vendetta. “Un ira di Dio” la Capitanio che partecipò a numerosi scontri con le truppe piemontesi nascondendosi trai boschi, campagne e montagne impervie arrecando serie perdite alle truppe impegnate nella repressione del brigantaggio. Circondata e catturata l'11 marzo 1868 fu imprigionata in attesa di processo. Mentre il padre cercava di farla liberare pagando una cauzione di 1500 lire lei si toglieva la vita ingerendo del vetro. Furono grandi le sue imprese sulla Valle del Volturno nel tentativo di sabotare i Garibaldini. In località la scafa, preparò un ordigno insieme ai suoi uomini al fine di sterminare l’avanzata del Maggiore Cattabeni.
Le sue gesta unitamente a Giocondina Marino e Carolina Casale da Cervinara (AV), vengono qui descritte:
A Piana di Monte Verna, precisamente in loc. Fontana in cima, c’era la grotta dei Briganti , nella quale, hanno raccontato alcuni anziani, erano fino a pochi anni fa ben visibili scritte ed epigrafi. Vi è fondato motivo di credere, anche se mai potuto dimostrare, a causa di smottamenti del terreno ed intemperie, che detti Briganti, proprio in quella zona, avessero seppellito un vero e proprio tesoro, frutto di razzie e vere e proprie estorsioni.Una brigantessa, dagli occhi grandi e nerissimi, dal volto triste, sembra abbia combattuto a Caiazzo e Piana di Monte verna. Si tratta di Maria Capitanio, giovane guerrigliera compagna del capobanda Luongo. Morto il suo uomo a seguito di gravi ferite subite in uno scontro a fuoco con i carabinieri, prese il comando della formazione ribelle giurandogli vendetta. “Un ira di Dio” la Capitanio che partecipò a numerosi scontri con le truppe piemontesi nascondendosi trai boschi, campagne e montagne impervie arrecando serie perdite alle truppe impegnate nella repressione del brigantaggio. Circondata e catturata l'11 marzo 1868 fu imprigionata in attesa di processo. Mentre il padre cercava di farla liberare pagando una cauzione di 1500 lire lei si toglieva la vita ingerendo del vetro. Furono grandi le sue imprese sulla Valle del Volturno nel tentativo di sabotare i Garibaldini. In località la scafa, preparò un ordigno insieme ai suoi uomini al fine di sterminare l’avanzata del Maggiore Cattabeni.
Le sue gesta unitamente a Giocondina Marino e Carolina Casale da Cervinara (AV), vengono qui descritte:
nella battaglia di
Monte Cavallo del 10 marzo 1868, accanto ai briganti combatterono accanitamente
tre donne, Maria Capitanio, Giocondina Marino, Carolina Casale, che rifiutarono
di arrendersi. I soldati dovettero legare la Capitanio che sembrava una belva,
Suppiello e Antonio Luongo furono presi, le tre donne furono imprigionate e
condannate. Solo Maria Capitanio si salvò, perché il padre, già all'indomani
della fuga della figlia, aveva cominciato a prezzolare falsi testimoni per
dimostrare che era stata rapita e non aveva partecipato volontariamente alle
imprese brigantesche della banda; il Tribunale di Isernia credette e la
prosciolse dalle imputazioni. Nella banda di Ciccone e Pace faceva da vivandiera
e guardiana Carolina Casale, giovane contadina di Cervinara, nell'Avellinese.
….. innamoratasi di Michele Lippiello, di cui era già incinta, non poté
sposarlo perché Lippiello si era aggregato alla banda di Ciccone e Pace. Il
fidanzato-brigante una notte fece irruzione nella pagliaia dove abitavano i
familiari di Carolina, e la costrinse a seguirlo. Cosi Carolina Casale si
aggregò anch'essa alla banda e conobbe Giocondina Marino, una compaesana di
Cervinara. Da allora la Casale partecipò alle azioni della banda, vestita da
uomo, agli agguati, ai sequestri. Il fratello Pasquale, altro aggregato, si era
costituito, convinto da conoscenti di Cervinara, che, per questo suggerimento,
furono uccisi da Alessandro Pace. A Roccamonfina partecipò al sequestro di Antonio
Petrilli, del fratello e dei suoi cugini, un colpo solo. Non esitò a buttarsi
nella mischia di monte Pipirozzi contro la truppa e non rimase estranea
all'omicidio di Giuseppe Di Francesco, a Mignano, perché Ciccone ebbe sospetti
su di lui nonostante si fosse unito alla banda. In un successivo combattimento
con un distaccamento di Fanteria, fu catturato insieme ai briganti Santo e
Moscatelli, e tradotta a Mignano con Gioacchina Marino e Maria Capitanio. La
Corte d'Appello di Napoli la condannerà per associazione a delinquere,
estorsione, sequestro di persona, e omicidio premeditato.
Quando fu scarcerata, riprese il mestiere di carbonaia; il suo Michele Lippiello morì in un conflitto a fuoco sulla strada che da Caiazzo conduce a Capua, verso la Piana . Anche la compaesana Giocondina era stata rapita da Alessandro Pace mentre lavorava nella carbonaia di Valleprata e partecipò alle numerose imprese di questi tra Caserta e Campobasso, fra cui quella in danno della famiglia Petrilli di Fontanafredda. Riunitesi le bande di Fuoco, Guerra, Ciccone e Santaniello, combatté con esse contro la truppa che presidiava Terra di Lavoro, a Piedimonte d'Alife, Caiazzo, Piana di Caiazzo,Villa Santa Croce, Conca, Isernia, Presenzano. Era diventata una furia di guerra.
Ma a Presenzano rimasero uccisi Luongo, Savastano, Gargano, e Michele Marino, e Giocondina, un'altra volta incinta, andò a raggiungere a Mignano la Casale e la Capitanio. Alla cattura seguirono le inevitabili condanne.
Anche la compaesana Giocondina era stata rapita da Alessandro Pace mentre lavorava nella carbonaia di Valleprata e partecipò alle numerose imprese di questi tra Caserta e Campobasso, fra cui quella in danno della famiglia Petrilli di Fontanafredda. Riunitesi le bande di Fuoco, Guerra, Ciccone e Santaniello, combatté con esse contro la truppa che presidiava Terra di Lavoro, a Piedimonte d'Alife, Caiazzo, Conca, Isernia, Presenzano. Ma a Presenzano rimasero uccisi Luongo, Savastano, Gargano, e Michele Marino, e Giocondina, un'altra volta incinta, andò a raggiungere a Mignano la Casale e la Capitanio. Alla cattura seguirono le inevitabili condanne.
Quando fu scarcerata, riprese il mestiere di carbonaia; il suo Michele Lippiello morì in un conflitto a fuoco sulla strada che da Caiazzo conduce a Capua, verso la Piana . Anche la compaesana Giocondina era stata rapita da Alessandro Pace mentre lavorava nella carbonaia di Valleprata e partecipò alle numerose imprese di questi tra Caserta e Campobasso, fra cui quella in danno della famiglia Petrilli di Fontanafredda. Riunitesi le bande di Fuoco, Guerra, Ciccone e Santaniello, combatté con esse contro la truppa che presidiava Terra di Lavoro, a Piedimonte d'Alife, Caiazzo, Piana di Caiazzo,Villa Santa Croce, Conca, Isernia, Presenzano. Era diventata una furia di guerra.
Ma a Presenzano rimasero uccisi Luongo, Savastano, Gargano, e Michele Marino, e Giocondina, un'altra volta incinta, andò a raggiungere a Mignano la Casale e la Capitanio. Alla cattura seguirono le inevitabili condanne.
Anche la compaesana Giocondina era stata rapita da Alessandro Pace mentre lavorava nella carbonaia di Valleprata e partecipò alle numerose imprese di questi tra Caserta e Campobasso, fra cui quella in danno della famiglia Petrilli di Fontanafredda. Riunitesi le bande di Fuoco, Guerra, Ciccone e Santaniello, combatté con esse contro la truppa che presidiava Terra di Lavoro, a Piedimonte d'Alife, Caiazzo, Conca, Isernia, Presenzano. Ma a Presenzano rimasero uccisi Luongo, Savastano, Gargano, e Michele Marino, e Giocondina, un'altra volta incinta, andò a raggiungere a Mignano la Casale e la Capitanio. Alla cattura seguirono le inevitabili condanne.
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