Piana di Monte Verna. Una storia densa, ricca, che affonda radici lontane ...

Panorama Anni '60
di Angela D'Agostino

Piana di Monte Verna: un pugno di case sparse ai piedi di Caiazzo, cittadina che ne ha sempre dominato e condiviso la storia. Una storia densa, ricca, che affonda radici lontane , che attende ancora di essere rivalutata. Il paese si sviluppa nella pianura alluvionale del Volturno fatta di terreni umiferi sovrapposti ad  argilla sabbiosa dell’Olocene  attraversata dalla strada statale 264. Si tratta di un terreno collinare nel quale si distinguono il gruppo del Monte Santa Croce, le colline di Caiazzo, il Monte Alifano, il monte Grande ed è caratterizzato dal bacino fluviale del Volturno.  L’acqua come risorsa e via di comunicazione, i rilievi come punti di difesa, la terra fertile per cibarsi: da sempre questo territorio ha avuto in sé tutte le caratteristiche per  permettere una vasta frequentazione umana.


Da sempre, la terra, ha restituito, a Piana, tracce del passato. Frammenti di spezzoni di tegole, mattoni e coppi in via Villanova, 300 metri a sud dalle Tre Masserie appartenenti forse a una fattoria di epoca repubblicana. Nei pressi della Chiesa di Santa Maria a Marciano , materiali del I secolo d.C., di epoca tardo antica o altomedievale, materiali di recupero e di reimpiego come la soglia in calcare forse proveniente da una grande villa in zona; i ruderi di terme romane, i residui dell’acquedotto romano in via Frumale, il tratto di una via acciottolata romana in via Pioppitelle parallela alla moderna strada statale, il ritrovamento nella stessa località, nel 1893,da parte del Faraone di due tegole piane con relativo bollo: una C.Corneli(che si ritrova anche a Palazzo  Mazziotti a Caiazzo) e una con bollo Rutili. E altre altre ancora…
Nel territorio di Piana di Monte Verna, e più precisamente nella frazione di Villa Santa Croce, si trova un insediamento fortificato di medie dimensioni che assicurava il dominio ottico e strategico sulla Piana di Caiazzo. Con ogni probabilità si tratta dell'antica città di Austicula, che viene menzionata da Livio insieme a Trebula e Cubulteria tra le città riconquistate da Quinto Fabio Massimo nel 213 a.c..
Le tracce più evidenti di tali fortificazioni sono sicuramente quelle dell'arce , ovvero la fortezza irregolarmente ovoidale che si erge sulla cima del Monte Santa Croce, le cui dimensioni sono di m. 75 per 135 ca. su cui si impostano le mura dell'abbazia benedettina medievale.
Negli anni '80 la studiosa Gioia Conta Haller studiò il sito ed  effettuò anche dei saggi di scavo che consentirono di datare la cinta, in base ai ritrovamenti ceramici , tra la fine del IV e l'inizio del III Secolo A.C.. Inoltre ipotizzò che questa cinta fosse abitata. Successivamente Caiazza nell’86 ipotizzò che la fortezza era l'acropoli della città antica da cui partiva una più ampia cinta fortificata che si estendeva verso il basso inglobando la collina inferiore (Cima 518 IGMI) in direzione del piccolo cimitero.
Sebbene sia fortemente sottoposto a dilavamento su questo spazio inferiore sono ancora disseminati sporadici frammenti di terracotta d'impasto a nucleo scuro , di terrecotte tornite e di frammenti di ceramica a vernice nera. Un terrapieno ( di cui le scarse tracce superstiti oggi sono appena visibile dalle foto aeree) difendeva l'abitato da Nord,ed altre mura difendevano i versanti ad Ovest ed a Sud. Attualmente le fortificazioni del lato Ovest e Sud sono visibili praticamente al livello della fondazione, e sono "tracciate" da una sola fila di pietre composta da elementi di piccola dimensione.
Il circuito "a collana" percorreva la pendice Ovest della Cima 518 per poi piegare in direzione del versante meridionale formando una sorta di rudimentale semicerchio da cui le mura risalivano fino a collegarsi all'arce, su cui si saldavano. Le due file di pietre che restano del muro sud che sale verso l'acropoli si interrompono a circa 1/3 di distanza dalla cima: tale interruzione indizia la presenza di una porta ai cui piedritti appartenevano alcune pietre di dimensioni maggiori delle altre che giacciono al suolo ancora in posizione.
Più in alto parallelamente al muro ovest dell'acropoli sono visibili alcune tracce che dimostrano l'esistenza di un muro che forse costituiva un terzo sbarramento a difesa dell'acropoli, e magari anche si teneva un terrazzo su cui erano abitazioni.
La presenza di una cisterna sull'acropoli fa pensare che vi fosse situato un tempio.
Intorno al x Secolo d.c. sorse sulle rovine dell'acropoli un monastero benedettino maschile chiamato Sancte Crucis montis Verne.Probabilmente il monastero o solamente la chiesa dello stesso sorsero per sconsacrare un culto antico, per affermare la potenza del cristianesimo sul paganesimo
Non conosciamo l'anno della fondazione ma possediamo alcune informazioni che consentono di circoscrivere il periodo in cui i Benedettini si insediarono sulla collina. Il documento che costituisce la menzione più antica del monastero è un atto risalente al 982, con cui il giudice caiatino Giovanni Magno dona alcune terre al monastero, che risulta retto da Gaudericus ven.sacerdos et abbas. Un precetto di S.Stefano,vescovo di Caiazzo, datato al 985 dice invece il nome del fondatore indicandolo in un certo Landulfus comes .
Nel 1087 il principe Giordano e suo figlio Riccardo donano ,insieme ad altri beni, al monastero aversano di San Lorenzo il monasterium Sancte Crucis cum pertinentiis suis et casale quod dicitur Marcianum.
Il casale Marcianum non esiste più ,era ubicato nei pressi del cimitero di Piana di Monteverna dove la chiesa gotica di Santa Maria a Marciano ne preserva il nome.
I resti della chiesa del monastero descrivono una struttura monoabsidata , sulla cui abside è facile immaginare un campanile. Sui lunghi muri della chiesa sono ancora ben visibili alcuni dei peducci delle volte che in passato vi si poggiavano. Il notevole spessore delle mura fa pensare anche che il monastero dovesse essere fortificato.
Grazie ad un recente lavoro di scavo sono venuti alla luce delle iscrizioni colorate e brani di affresco, appartenenti alla struttura interna della chiesa. Rimanendo nell’ambito delle fortificazioni del Medio Volturno si parla degli " insediamenti dei cinque monti" perché coinvolgono, oltre al Santa Croce e al Caruso, anche il monte Verna, il Monte Pizzòlo e il Monte Cognòlo (detto Cima 518). Si tratta di complessi megalitici dalla caratteristica forma di goccia o di ellisse, lunghi svariate centinaia di metri, non estesissimi come superficie anche se si sono trovate case ed abitazioni all'interno delle mura, segno di un popolamento durato millenni. Siamo nelle estreme propaggini meridionali dei Monti Trebulani, il fiume Volturno in questa zona fa una deviazione di 90° verso ovest e si viene a creare una piana alluvionale in cui le montagne hanno un valore strategico altissimo. E qui, troviamo il Monte Carmignano ,un colle di 160 metri di altezza che spunta, come una piramide artificiale, dalla pianura del Volturno. E' ricoperto di vegetazione ma mostra una inclinazione di 30°. La montagnetta non ha resti osci o sannitici, ma è tristemente famosa per un' atroce strage nazista al punto che il luogo è ricordato come "la Marzabotto del Sud". Il 13 ottobre 1943 la terza compagnia del 29° reggimento della Terza Divisione di Panzergrenadiers, comandata dal tenente Wolfang Lehnigk-Emden, di vent'anni, massacrò 22 persone, tra cui 11 bambini, residenti in due cascine sulle pendici del Monte Carmignano. Il pretesto erano delle presunte segnalazioni agli Alleati, poiché la linea del fronte era vicina. Lehnigk-Emden alle 20 bussò alle porte di quei contadini fingendosi un inglese e chiedendo loro la posizione delle linee tedesche. Alla risposta dei capifamiglia scattò la rappresaglia, con violenze indicibili e perfino impalamenti per donne e bambini. Al di là del Volturno, le tracce liguri-osce continuano con l'importantissimo muraglione ciclopico di Castel Morrone. La cinta megalitica comunque si colloca sui colli Gagliola e Castellone, che fanno parte di una catena di monti chiamati Tifatini che incombono da sud sul corso del Volturno. La cinta è lunga 5 km, si estende a quota 350 m circa e occupa un'area di 200mila mq, davvero imponente. Secondo alcuni studiosi qui sorgeva Plistica, ennesima città distrutta dai Romani, anche se le tradizioni romane affermano che al contrario Plistica fu distrutta dagli stessi Sanniti per punire un tradimento. Ma quello che si nota tra i resti dell'abitato è  una specie di vasca che ovviamente cisterna per la pioggia non può essere per la sua collocazione sulla dorsale delle montagne. Questa vasca potrebbe senza alcun dubbio avere una valenza sacra, quella già ricordata di "specchiare" il cielo nelle acque portate dall'uomo. Non a caso testimoni dicono di aver visto, sul pavimento della conca, un masso utilizzato come un coperchio per una possibile cripta, in cui molti ipotizzano esista un tesoro. Più probabilmente, le statue dei numi osco-liguri, ossia la Dea Madre che potrebbe qui chiamarsi Kerres (la Cerere-Demetra romana) accompagnata dal Dio Padre suo sposo, legato al Sole e alla fecondità. Una frana ha recentemente sepolto la cisterna, quindi per il momento è impossibile sapere cosa vi sia sotto quella botola. Ma basta andare sulla vetta del Gagliola per scoprire l'incredibile: un cerchio di pietre, un cromlech perfetto sulla cima che punta a nord la piramide a 30° del Monte Caruso. In Ricerche su alcuni centri fortificati in opera poligonale in area campano-sannita", pubblicato nel 1978 dall'Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli, la studiosa Gioia Conta Haller, analizza 19 aree archeologiche osce della Valle del Volturno, tutte caratterizzate da mura megalitiche e dal costante collegamento visivo degli abitati. Congiungendo le località tra di loro e specchiandole utilizzando un foglio di acetato, si possono sovrapporle a una carta stellare collocata temporalmente all'epoca della stupenda mappa astronomica del Monolite Piramidale del Monte San Martino, che mostrava il cielo così come appariva nel 13550 BCE. Il cielo sovrastante l'Alto Casertano riproduce perfettamente le forme dei nuclei abitati, che compongono così in terra la Costellazione del Sagittario, legata alla Dea Madre e carica di significati astronomici e religiosi. tra i 19 centri fortificati osci sono presenti anche altre costellazioni: tre stelle del Serpente (ο, ν e ξ Serpentis) e una, corrispondente al Monte Carmignano, η Ophiuchis, nella Costellazione di Ofiuco. Alcuni centri corrispondono poi ad ammassi globulari, come M19 rappresentata proprio dall'insediamento di Plistica, mentre una possibile associazione con la brillantissima Antares, stella maggiore dello Scorpione, potrebbe avvenire proprio con Alvignano o Limatola, in provincia di Benevento.
Il territorio su cui insiste Piana è quindi un territorio fortemente simbolico. Un simbolismo che permane dal paganesimo al cristianesimo, una zona consacrata alla Madre Terra che è anche contemporaneamente la nostra Madre Celeste.

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