Antichi percorsi di pellegrinaggio in età medievale nell’agro caiatino.
di Angela D’Agostino
Durante il Medio Evo
l’assetto viario romano rimase pressappoco lo stesso. La strada più importante
di tutto il comprensorio caiatino è la via Latina. Essa infatti si divideva in
due parti fuori Teanum, si ricongiungeva di nuovo ad Alifae da dove seguiva per
Telesia e Beneventum. Il primo ramo della via Latina da Teanum conduceva
direttamente ad Alifae, il secondo braccio portava a Cales e Trebula quindi a
Caiatia e per il territorio di Cubulteria nell’agro alifano. I due rami della
via Latina erano in comunicazione tra loro e portavano a Trebula, a Saticula e
a Cubulteria dalla quale una via andava
verso ovest per congiungersi col primo braccio della via latina presso Bage.
Questa via era selciata come la via Appia e fu ripristinata da M. Acilio che fu
duumviro e curatore della via stessa come afferma un’epigrafe incisa su un
marmo che una volta si trovava presso la Basilica di san Ferdinando d’Aragona e
che successivamente è andata perduta..La seconda via usciva da Cubulteria e si
divideva in due parti: una per Alvignano ( le attuali vie San
Ferdinando-Terminiello-Trieste-Iacobelli) saliva sulle colline del castello
Aragonese e di qui portava a Trebula passando certamente per Marciano freddo;
l’altra pure arrivava nell’agro trebulano dalla località cacciapugli saliva per
il castello di dragoni per Maiorano di Monte. Un’altra strada usciva da
Cubulteria e portava a Caiatia seguendo più o meno l’attuale percorso
provinciale 330. Ancora due strade partivano da Cubulteria e si dirigevano a
nord per il ponte Anicio verso Alifae; ad est saliva per le colline della
Sagliutella e conduceva a Telesia.
Il primo centro di
pellegrinaggio fu la basilica di sant’Angelo in formis che sorge sulle
fondamenta del tempio di Diana Tifatina e fu dedicata all’Arcangelo Michele.
Prima era detta ad arcum Dianae nei documenti coevi, poi in quelli successivi
ad Formas, informis, in formis. Fu donata dal principe Riccardo all’abbazia di
Montecassino, fu ricostruita per volontà dell’abate Desiderio tra il 1072 e il
1087, come attesta l’epigrafe sul portale di ingresso e l’affresco dell’abside
dove è rappresentato l’abate che offre l’edificio, raffigurato con un preciso
modello. Probabilmente la costruzione
dell’edificio è stata terminata prima delle morte di Desiderio nel 1087.
Tra Sant’Angelo in Formis e
Caiazzo è posta la Chiesa di Santa Maria a Marciano a Piana di Monte Verna. Nel periodo comitale di Roberto le cronache
registrano il soggiorno in loco di
due importanti personaggi dell’ambiente ecclesiastico.
Seguendo la cronologia, il primo a
soffermarsi nel territorio della contea e nella città stessa fu papa Urbano II, che recandosi a
Cajazzo nel 1093 si sarebbe fermato
più giorni con tutto il suo seguito presso la chiesa di Santa Maria a Marciano dipendenza dell’abbazia benedettina
di Santa Croce. Stando in Cajazzo, egli, il 3 ottobre di quell’anno
spedì una bolla a Goffredo vescovo
di Mileto. Altro più chiaro ed espresso segno
dell’importanza che la chiesa andava assumendo sul territorio è la donazione di
13 moggi di terreno fattole da Rainulfo II, Conte di Caiazzo.
Poco dopo il 1330, la chiesa
di Santa Maria a Marciano fu ricostruita nel
medesimo luogo ove sorgeva l’antica, ma di proporzioni più vaste e con
un’architettura più armonica rispecchiante in tutto i caratteri dello stile
angioino. Secondo la tradizione, la chiesa fu ricostruita da un capitano
francese che, dopo un aspro combattimento in cui più volte si era trovato a
contatto diretto con la morte, volle sciogliere il voto fatto alla Madonna
nella situazione di pericolo. La chiesa ricostruita emula, per quanto di
proporzioni molto modeste, le grandi chiese gotiche della stessa epoca che
erano sorte a Napoli per volere di Roberto d’Angiò e della consorte, la regina
Sancia d’Ungheria, quali S.Eligio, S.Chiara e S.Domenico Maggiore. Interessante
è un affresco di una santa con la corona angioina denominata Santa Marena.Si
tratta di Santa maddalena?
Qualche
anno dopo, nel 1098, è rilevata nel territorio cajazzano, e precisamente a Villa Scalvia, la presenza di
un’ospite ancor più illustre:Anselmo d’Aosta.
Nelle vicinanze del casale di Schiavi, l’abbazia benedettina di San Salvatore di Telese aveva
dei possedimenti e una dipendenza. Sappiamo che giunto in Italia, Anselmo si
recò a far visita all’abate
di San Salvatore, Giovanni, già monaco a Bec in Normandia.
Giunto
nel monastero, a causa del caldo opprimente, egli fu accompagnato dall’abate a Sclavia dove, data
l’altitudine, il clima era migliore.
Qui il santo ritrovò la calma necessaria per completare la stesura
Cur
Deus Homo
Durante il suo soggiorno in questo luogo
Anselmo incontrò il duca di Puglia
Ruggero che, trovandosi all’assedio di Capua e avendo saputo della presenza in loco dell’illustre
personaggio si recò presso la grancia di Sclava. Discorrendo di Schiavi, si ritiene opportuno
fornire qualche notizia relativa al
periodo studiato sulla grotta di San Michele Arcangelo in Monte Melanico, poco discosta da quel luogo,
in quanto si ritiene fosse tenuta
in grande considerazione dai normanni, così come lo fu dai longobardi. Il culto Michaelico, come è noto,
diffusosi nelle grotte meridionali
a imitazione di quella del Gargano, attrasse notevolmente i primi pellegrini normanni che, stando alle
cronache, di ritorno dalla Terrasanta,
facevano tappa sul Gargano per venerare l’immagine del santo apparso in quella grotta. Nel territorio della
contea Cajazzana già in epoca longobarda
era molto rinomata la grotta di monte Melanico, detto poi monte Sant’Angelo tanto che, nell’anno
979, quando il metropolita at non
dedimus vobis capuano
Gerberto investì Stefano della diocesi “vestrisque successoribus Ecclesiam S.
Angeli in Melanico, quam in nostra,
nostrorumque successorum potestate reservamus
”.
L’arcivescovo si riservava la podestà
sulla grotta la cui fama aveva varcato da tempo la diocesi e in
cui provenivano numerosi i pellegrini da tutto il
territorio circostante. Ed infatti l’anonimo cassinese riferisce di
“aver inteso che sul
monte Melanico si dice esservi virtù angelica, come in San Michele aqua et saone Trifrisci mulino sito in “
Cajazzo
è una cittadina con poco meno di 6.000 abitanti sita in provincia di Caserta, da cui dista 17 km, al
centro della grande ansa del fiume
Volturno nella parte mediana del suo corso. Il menzionato
territorio è delimitato dal fiume a
sud, est e nord mentre ad ovest è chiuso dalla catena pre-appenninica del Monte
Maggiore .Questo territorio in età
pre-romana fu colonizzato dai sanniti i quali, oltre a costruirvi numerosi recinti
fortificati, che rappresentavano l’avamposto del Sannio, edificarono o
svilupparono tre città che, Caiatia
, Trebula e Kupelternum (o Compulteria).A
invasioni barbariche avvenute,delle
tre solo Caiatia rimase in piedi ed assurse a capoluogo del comprensorio attraverso l’ottenimento della
sede vescovile, da cui dipendeva
l’intero territorio indicato, e attraverso l’elevazione
prima a gastaldato e poi a contea del principato
longobardo di Capua.I dinasti
longobardi della contea cajazzana appartennero sempre alla famiglia regnante capuana; pare si fregiassero
di tale titolo i figli minori del
principe, e ciò a partire dal nono e per tutto il decimo secolo.
Pandulfo
il Franco, e Giovanni Citello fu da Riccardo creato Conte di
Cajazzo Rajnulfo il Normanno
nel 1070, quale Lupo Protospata nel suo Cronico, come appresso,
lo chiama Rodolfo Pipino
Il Castellaneta,
descrive la parte di interesse:
“Per
dar principio alla descrittione delle Famiglie nobili
della
Città di Caiazzo. Io incominciarò à narrare quelle cose,
che
lasciò scritto Felippo de Sisto Alifano nella sua Cronica
manuscritta,
il quale narra, che nell’anno 1095. alcuni
valorosi
di Caiazzo, della fameglia Egittia, de
Melchiori,
alias
detto dello Piezzo, Planano, Prischo, Gentili, Sparani, &
Alberti
passarono sotto Rainulfo Normando Conte di Caiazzo
alla
Guerra di Terra Santa, ove andarono molti Prencipi
Christiani,
nel qual tempo alcuni delli detti soldati
riportarono
poi alla Patria superbe insegne tolte alli nimici
occisi,
come tra gl’altri vi furono gl’Egittij, una testa d’un
famoso
Egittio, dal qule presero poi il cognome, & i
Melchiorij
detti all’hora Virginij, se recarono l’insegna d’un
Leone,
ch’aveva un fave di mele in bocca, che perciò furono
detti
poi Melchiori, & così tutti l’altri se ne riportarono à
Casa
l’armi dell’inimico ucciso, quali presero per impresa,
portandolo
sopra il Cimiero, usando anco di fare le Croci per
arme
conforme havevano portate in quella guerra Santa.”
La
partecipazione dei cajazzani alla crociata è ricordata anche
nello stemma della città in cui è raffigurata una
croce rossa in campo azzurro con ai
lati della croce quattro gigli d’oro. Il Di Dario riporta dal Melchiori per
arme che il conte Rainolfo [Riccardo] tornato dalla
Terrasanta, donò “lla città il segno della trionfante Croce
rossa conforme lui aveva portato a quell’impresa .Di
Rainolfo, non potendo dare ulteriori notizie a carattere locale,riferiamo la considerazione che ebbe in ambiente
ecclesiastico, alla stessa stregua
del fratello Riccardo e del nipote Giordano, principi di
Capua,soprattutto da parte di Desiderio,
abate di Montecassino e successivamente
papa con nome di Vittore III. Tutti e tre i nominati normanni parteciparono il 1° ottobre 1071
alla consacrazione della nuova abbazia
di Montecassino opera di Desiderio. Qualche anno dopo, nel 1078, Giordano e Rainolfo si recarono
a Roma dove ottennero da Gregorio VII
il proscioglimento dall’interdetto che il papa aveva comminato nel sinodo di quell’anno al
Guiscaldo e a tutti i suoi sostenitori.
Viene così avviato un rapporto privilegiato tra i normanni diCapua e la Santa
Sede destinato a durare a lungo; da questo momento i dinasti capuani, che in precedenti battaglie
si erano schierati al fianco dei connazionali pugliesi, destinati in seguito alla corona meridionale,
assecondano la politica papale di freno al crescente potere della schiatta
del Guiscardo. Così, immediatamente dopo
l’incontro con il papa, essi fomentano la rivolta in Puglia, Calabria e
Campania e solo l’intervento mediatore
di Desiderio verso papa Gregorio VII, volta a favorire una nuova politica del papato nei riguardi dei
normanni, consente nel 1079 la firma
della pace tra i contendenti a Sarno. Il medesimo Desiderio,
nel 1085, in occasione della sua elezione al
soglio pontificio, chiama Giordano
e Rainolfo in aiuto e al servizio della Chiesa romana.
Caiazzo, nel l’economia del
pellegrinaggio, è alle dipendenze della domus capuana. Infatti la prima
attestazione della domus capuana e del suo prior risale al 1179, anno in cui,
in un documento di papa Alessandro III compare un Fulco Priore et fratres
hospitalis de capua. Le ‘dipendenze’ della domus degli Ospedalieri attestano il
rilievo conseguito dall’Ordine,sia in termini di potestà giudiziale sul
territorio capuano, sia in termini di possedimenti patrimoniali legati al
Priorato. L’inchiesta ordinata nel 1373 da papa Gregorio XIal fine di valutare
l’entità del patrimonio giovannita, in vista di una riforma dell’Ordine,offre
preziose informazioni sulla domus capuana. Nell’inedita inchiesta su Capua,
infatti,oltre a numerose case nominate in documenti di età anteriore e quindi
già considerate,compaiono le domus di Aiola, Altavilla Silentina, Apice, Ariano
Irpino, Auletta, Avellino,Buccino, Caiazzo, Cicala, Cicciano, Contursi,
Corleto, Croce, Cuccaro, Flumeri, Grottaminarda,Lauria, Maddaloni, Moliterno,
Monitoro, Montesarchio, Novi Velia, Piano,Pietramelara, Policastro, Polla,
Pozzuoli, Reggiano, Roccagloriosa, Sala, S. Martino, Scafati,Sessa Aurunca,
Taleno, Teano, Tortorella Nell’agosto del 1260 Ruggiero de Aldemario nel
redigere testamento, tra le altre disposizioni,stabilisce di donare una casa
all’Ospedale di Caiazzo subdito dell’Ospedale diS. Giovanni di Capua. Nel
dicembre del 1263 lo stesso Ruggiero de Aldemario destinò un’altra casa
all’Ospedale di S. Cataldo, situato fuori porta S. Antonino, «quod subditumest
hospitali Sancti Iohannis Iherosolimitani in Capua».1221 maggio, Caiazzo. Stanzio
e Dalinboldo, procuratori e rettori della Congregazione di Caiazzo, per parte
della predetta Congregazione offrono a Gaydolfo sei pezze di terra site in
varie località. Si attesta una chiesa giovannita a Caiazzo (a “San Giovannifuori porta”) somparsa
alla fine del XVII secolo.
Un’altra tappa del
pellegrinaggio medievale è La grotta di Castelcampagnano, un piccolo centro abitato sito nel territorio
casertano, in prossimità della città di Caiazzo,
Da un importante documento
altomedievale risalente all'anno 979
cioè una bolla pubblicata da Michele Monaco già nel Seicento", emanata dal metropolita capuano Gerberto
(978 980), con la quale si conferiva la
dignità episcopale a Santo Stefano
Menicillo, proclamato vescovo della
diocesi di Caiazzo suffraganea dell'archidiocesi di Capua" venivano
stabiliti i territori e le chiese soggette alla giurisdizione della diocesi
caiatina, ".. .
insuper concessi- mus ei Diocesim per has finem.. .."comprese quelle di Castelcampagnano: "Sanctus
Angelus et sanctus Foelix et sanctus Johannes in Campanianu".
Da questa bolla episcopale,
dunque, si evince che nell'anno
979 a Castelcampagnano
esistevano almeno tre edifici sacri, oggi scomparsi, giacchè l'unica chiesa tuttora esistente nel piccolo centro
urbano è la settecentesca parrocchia
della Madonna della Neve. È verosimile
che la chiesa rupestre di Castelcampagnano sia identificabile con il
"Sanctus Angelus in Campanianu" ricordato dal già citato diploma
episcopale. L'agro caiatino entro il
quale situato l'abitato di Castelcampagnano risulta inoltre
disseminato di oratori rupestri ed edifici subdiali dedicati all'Arcangelo
Michele, quasi tutti di origine altomedievale. Dallo studio della
documentazione antica, inoltre, emerge che nella sola diocesi di Caiazzo, oltre
alla grotta di Castelcampagnano esistevano almeno altri due edifici di
tipologia rupestre dedicati a San Michele.
Un'altra grotta dedicata all’ Arcangelo esisteva a Ruviano (un tempo chiamata
Raiano), un piccolo centro abitato confinante con Castelcampagnano. Questo
santuario rupestre, ricordato nelle Rationes Decimarum del 1326, oggi non
più esistente, poiché fu distrutto nel secolo scorso a seguito dell’ apertura di una cava
di tufo.
Questa articolata
"geografia micaelica" dell'agro caiatino dimostra dunque che la
maggior parte dei santuari rupestri esistenti in questo stesso territorio reca
la dedica all’ Arcangelo Michele, e che
spesso le fonti consentono di precisare che tale dedicazione rimonti all’Alto-
medioevo.
Nella chiesa rupestredi
castel campagnano, ci sono affreschi di santi che possono essere confrontati con
due codici medievali prodotti nel ducato beneventano e noti alla
critica già da tempo: il Pontificale pro ordinis conferendis ed il
Benedizionale della Biblioteca Casanatense di Roma. il Pontificale ed il
Benedizionale della biblioteca Casanatense di Roma, sono due manoscritti
prodotti nella seconda metà del X secolo che, sebbene presentino certune
diversità, sono generalmente ritenuti dalla critica stilisticamente affini,
contribuiscono inoltre, insieme ad altri elementi, a fissare una datazione
plausibile per gli affreschi più antichi
di Castelcampagnano.
Si è già visto, dalla
documentazione antica, che la chiesa rupestre
era già esistente nel 979, quando risulta nominata in un bolla di
investitura episcopale. Questa data concorda, dunque, con la cronologia indicata
dagli studiosi per entrambi i rotoli della Casanatense appartenuti a
Landolfo , vescovo di Benevento tra il 957
ed il 982, e costituisce altresì un utile terrninus ante quem per i dipinti murali più antichi della grotta
di Castel campagnano che sulla base di queste considerazioni, e per via delle
già citate affinità con gli affreschi vulturnensi, di cui si rivelano essere
diretti discendenti, possono verosimilmente essere datati verso la metà del X
secolo. L'origine degli artisti che realizzarono gli affreschi di
Castelcampagnano invece poco chiara.
Questo modesto centro abitato, sito tra
Benevento e Capua, di certo non possedeva la rilevanza politica e culturale delle due capitali longobarde
campane, senza contare che, allo stato attuale delle nostre conoscenze,
non attestata a Castelcampagnano una
tradizione pittorica consolidata di livello così elevato.
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