IL NAUFRAGIO DELLA NAVE UTOPIA (GIBILTERRA 17 MARZO 1891)… LA STORIA DI SALVATORE MONE, NATIVO DI PIANA DI CAIAZZO.
Storie di emigranti è il
titolo di un interessante libro scritto dal Prof. Simeone Veccia e pubblicato
dall’Associazione storica del Medio Volturno di Piedimonte Matese. In questo
lavoro, l’autore rivolge la sua attenzione ad un fenomeno che ha riguardato
tanti paesi dell’Alto Casertano tra la fine dell’Ottocento ed i primi decenni
del Novecento: la grande emigrazione verso l’America. Nel libro vengono
raccontate alcune storie che ben ritraggono e sintetizzano, seppure in
parte, le caratteristiche di quell’evento.
Nel primo capitolo viene narrata la tragica vicenda del
naufragio della nave Utopia – comunemente detta Tobia nella traduzione
dialettale – affondata al largo di Gibilterra il 17 marzo del 1891: a bordo
c’era Salvatore Mone, di anni 16, nato a
Piana di Caiazzo nel 1875 e residente da tempo con la famiglia a Baia Latina. Questo
il filo del racconto: nel tardo pomeriggio di martedì 17 marzo 1891, la nave
Utopia, un piroscafo gigantesco (di proprietà inglese) diretto a New York, superata Punta Europa, giunse davanti alla
Baia di Gibilterra nel bel mezzo di una terribile burrasca. Entrare nel porto
era estremamente pericoloso ed azzardato, ma il Capitano ritenne fosse la cosa
più saggia. Purtroppo, l’Utopia
impattò contro il potente sperone dell’Anson,
una corazzata inglese che si trovava all’interno della rada. Dopo lo scontro,
l’Utopia cominciò ad inclinarsi e ad imbarcare acqua.
Il panico si impossessò di quei poveri viaggiatori, già timorosi per la forza
del vento e l’implacabile pioggia che continuavano a sferzare la nave.
Salvatore Mone (imbarcatosi a Napoli il
7 marzo per raggiungere la “terra della salvezza”) perse subito il contatto con
i suoi compagni di viaggio; vide delle scialuppe arrancare tra le onde sbattute
dall’impetuoso vento di tramontana, si tuffò in mare convinto di potersi
salvare. Si trovò, senza rendersene conto, vicino ad una scialuppa colma di
persone urlanti e disperate; vi si aggrappò e le sue robuste mani divennero
tenaglie. Dalla barca qualcuno cominciò a colpirlo selvaggiamente sulle mani: a
bordo non c’era più posto e occorreva che quell’intruso mollasse la presa. Ma
Salvatore era determinato e a chi gli intimava di allontanarsi, gridava
minaccioso che avrebbe continuato a far forza sulla fiancata della scialuppa
fino a provocarne l’affondamento. Tutti salvi o tutti morti! Finalmente
qualcuno gli urlò di salire a bordo e quel calvario cessò. Salvatore Mone
proseguì il suo viaggio verso gli Stati Uniti d’America e ritornò a Baia
latina, per la prima volta, nel 1917.